
Avete presente quella scena di “Inception” dove i personaggi continuano a scendere livelli su livelli di realtà, fino a perdere completamente il senso di quale sia quella vera? Ecco, immaginate la stessa cosa, ma invece di Leonardo DiCaprio avete il vostro manager che arriva dall’estero (a benedire l’ufficio con la sua presenza per una settimana), e invece dei sogni avete riunioni interminabili che parlano di ottimizzazione dei processi di una startup ipotetica. Benvenuti nell’incubo aziendale da cui non esiste sveglia che possa salvarvi.
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L’arrivo del Messia (o quasi)
Tutto inizia con quella email che ti ghiaccia il sangue: “Il manager sarà in sede la prossima settimana per alcune sessioni di allineamento strategico”. Traduzione: preparatevi a ore di supplizio mascherato da “opportunità di crescita professionale e innovazioni rivoluzionarie sul modo di lavorare”. Come in “Groundhog Day”, sapete già esattamente cosa vi aspetta, ma non potete fare nulla per evitarlo. Bill Murray almeno aveva la possibilità di migliorarsi ogni giorno; voi, invece, vivrete sempre la stessa identica esperienza inconcludente.
Il manager arriva, sorriso smagliante, presentazione PowerPoint sotto braccio (pochissime slides ma molto pregnanti…), pennarello per lavagna e quell’aura di chi sta per rivelarti i segreti dell’universo. Spoiler: l’universo rimarrà misterioso anche dopo.
Il gioco comincia: customer vs provider, fight!
Ed eccoci al piatto forte: il “gioco di ruolo aziendale”. No, non quello divertente con i dadi e i draghi. Questo è più simile a “Saw” – L’enigmista, solo che invece di trappole mortali hai dilemmi aziendali impossibili, e invece di Billy il pupazzo hai il tuo manager che ti guarda con occhi penetranti chiedendoti: “Ma voi, come customer, cosa vi aspettereste?”
La dinamica è sempre la stessa. Prima sei il customer: devi analizzare cosa vorresti da un servizio, quali sono le tue priorità, come ottimizzare i costi. Prendi appunti, annuisci saggiamente, contribuisci con idee che ti sembrano sensate. Poi, colpo di scena degno di “The Prestige”: ora sei il provider! Devi ribaltare completamente la prospettiva e difendere posizioni opposte a quelle di cinque minuti fa.
Il tutto condito da domande apparentemente profonde: “Come potremmo velocizzare lo sviluppo riducendo i costi ma mantenendo alta la qualità?” Ah sì, il classico triangolo magico del project management dove puoi scegliere solo due vertici, ma il manager è convinto di aver scoperto la quarta dimensione dove puoi avere tutto. Forse l’ha imparata nel film “Interstellar”, dove le leggi della fisica non si applicano.
Il dubbio cosmico: ma dove vuole andare a parare?
Dopo la prima ora, nei presenti comincia a serpeggiare un dubbio. Quello sguardo che ti scambi con il collega di fronte, quella leggera inclinazione del sopracciglio che dice: “Anche tu non stai capendo niente, vero?” È come essere in “Mulholland Drive” di David Lynch: sei sicuro che ci sia un senso nascosto da qualche parte, ma più vai avanti e più ti rendi conto che forse non c’è proprio nulla da capire.
Il manager continua imperterrito: “E se guardassimo la cosa dal punto di vista dell’utente finale? E dal punto di vista del business? E se considerassimo anche l’impatto sul time-to-market?” Le parole si accumulano come in una partita a Scarabeo dove qualcuno ha deciso di usare solo termini inglesi del gergo aziendale.
Qualcuno prova timidamente a chiedere: “Quindi, concretamente, dovremmo…?” Ma la risposta è un altro giro di giostra, un’altra prospettiva da analizzare, un’altra domanda che ne genera tre. È l'”Effetto Matrioska Manageriale”: ogni risposta contiene un’altra domanda, all’infinito.
La teoria del complotto (aziendale)
A questo punto cominciano le teorie. Forse sta cercando idee? Impossibile, perché non prende appunti. Forse vuole farci rendere conto di aspetti che ignoriamo? Ma quali? Forse è un test per vedere chi resiste di più senza addormentarsi o impazzire?
Come in “The Truman Show”, ti chiedi se tutto questo sia reale o se tu sia semplicemente parte di un esperimento sociologico aziendale. Forse dietro quelle pareti ci sono telecamere, e da qualche parte un team di psicologi sta osservando quanto tempo ci vuole prima che un dipendente crolli sotto il peso di termini come “sinergia”, “scalabilità” e “disruption”.
Il manager continua a parlare, sempre più convinto (forse), sempre più vago (sicuramente). Le sue frasi sono come quelle di “The Matrix”: suonano profonde, sembrano avere un significato, ma quando cerchi di afferrarle concretamente ti scivolano tra le dita come codice verde su sfondo nero.
Il finale (?) che non cambia nulla
Ed eccoci all’epilogo. Dopo ore – che sembrano giorni, settimane, ere geologiche – la riunione finisce. Il manager vi ringrazia per il “contributo prezioso” e per la “sessione estremamente produttiva”. Raccoglie le sue cose, promette di “tenere tutti aggiornati sugli sviluppi”, e sparisce verso l’aeroporto come Keyser Söze in “The Usual Suspects”, lasciandovi a chiedervi se sia mai stato realmente lì.
Vi guardate intorno. I colleghi hanno lo sguardo vitreo di chi ha appena assistito a “2001: Odissea nello Spazio” senza sottotitoli. Nessuno sa cosa sia appena successo. Soprattutto, nessuno sa cosa succederà dopo. La risposta, naturalmente, è: nulla. Come in “The Big Lebowski”, alla fine scopri che tutto quel casino non portava da nessuna parte. Non c’era un piano, non c’era un obiettivo, non c’era un senso.
Domani tornerete alle vostre scrivanie e continuerete a fare esattamente quello che facevate prima. Nessun processo verrà ottimizzato, nessun costo verrà ridotto, nessuno sviluppo verrà velocizzato. L’unica cosa che sarà cambiata è il vostro livello di cinismo aziendale, salito di qualche tacca.
Morale della favola
La prossima volta che riceverete quell’email sull’arrivo del manager dall’estero, ricordate: non è una riunione, è un film surrealista in cui siete stati scritturati senza saperlo. Non cercate un senso, non cercate un obiettivo, non cercate una conclusione. Come diceva Tyler Durden in “Fight Club”: la prima regola di queste riunioni è che non si parla di queste riunioni. La seconda regola è che non cambierà mai nulla.
E mentre il manager torna alla sua sede all’estero, convinto forse di aver seminato chissà quali insight rivoluzionari, voi rimanete lì, svuotati e intontiti, con l’unica certezza che tra qualche mese si ripeterà tutto da capo. Dopotutto, come in ogni sequel che si rispetti, la trama è sempre la stessa, cambiano solo le battute del copione aziendale.
Almeno Netflix vi permette di saltare l’intro. Qui, purtroppo, dovete sorbirvi l’intero film, dalla prima all’ultima, interminabile, inconcludente scena.
