Quarterly Review: Il Teatro dell’Assurdo Aziendale in Tre Atti

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Ah, il quarterly review. Quella magnifica istituzione aziendale conosciuta anche come “one-to-one”, “face-to-face” o, più onestamente, “quella mezz’ora in cui fingiamo tutti che qualcosa cambierà”. Se dovessimo descriverlo con una metafora cinematografica, sarebbe Aspettando Godot di Beckett, ma in versione corporate: tutti aspettano qualcosa che non arriverà mai, mentre recitano dialoghi completamente privi di significato.

Preparatevi, cari colleghi sopravvissuti: oggi parliamo di questo rituale trimestrale che ci ricorda puntualmente perché abbiamo scelto di lavorare in un’azienda dove l’illusione è più importante della sostanza.

Il Grande Appuntamento: Quando l’Agenda si Riempie di Vuoto

Arriva puntuale come le tasse: ogni tre mesi, ecco spuntare nel calendario quell’innocuo invito a riunione con oggetto “Check-in Q2” o qualche altro eufemismo che nasconde la vera natura dell’evento. Il tuo manager, armato di PowerPoint motivazionale e sorriso stampato in faccia, è pronto a condurti attraverso un viaggio nel nulla cosmico mascherato da “opportunità di crescita”.

La convocazione arriva solitamente con qualche giorno di anticipo, giusto il tempo per farti domandare: “Ma davvero devo prepararmi qualcosa per questa farsa?”. La risposta è sì, perché anche nel teatro dell’assurdo serve rispettare il copione. Quindi ti ritrovi a stilare una lista di attività che hai svolto negli ultimi tre mesi, cercando disperatamente di far sembrare significativo anche quel file Excel che hai aggiornato per due settimane consecutive.

Atto Primo: “Cosa Abbiamo Fatto” (AKA Il Festival dell’Autoreferenzialità)

La riunione inizia sempre con la stessa domanda retorica: “Allora, raccontami, come sono andati questi tre mesi?”. Ed ecco che parte il balletto. Tu inizi a elencare le tue attività, cercando di gonfiarle quanto basta per sembrare produttivo ma non troppo da far capire che stai palesemente esagerando.

“Ho lavorato al progetto X, ho supportato il team Y, ho partecipato a riunioni trasversali…”. Traduzione: hai fatto cose, visto gente, riempito il tempo tra una pausa caffè e l’altra. Il manager annuisce con aria saggia, prende qualche appunto sul suo quaderno (che consulterà mai più nella vita) e ti fa sentire per cinque minuti come se quello che fai avesse davvero un senso.

Ma tu sai. Lui sa. Tutti sanno. Il vostro team è quella cosa trasversale che dovrebbe occuparsi di funzioni che in realtà ogni altro team gestisce autonomamente. Siete la quinta ruota del carro aziendale, quella che c’è perché qualcuno tre riorganizzazioni fa ha pensato fosse una buona idea, e ora nessuno ha il coraggio di eliminarla.

Atto Secondo: “Cosa Faremo” (Ovvero: Promesse al Vento)

Finite le celebrazioni del passato, si passa alla parte più esilarante: i piani futuri. È qui che il tuo manager si trasforma in un venditore di pentole alla televendita, cercando di rifilarti progetti “super stimolanti” che “rilanceranno il team” e “valorizzeranno le tue competenze”.

“Stiamo pianificando un’iniziativa strategica che ci posizionerà come punto di riferimento per tutta l’azienda!” dice, con gli occhi che brillano di un entusiasmo che nemmeno lui crede. Traduzione: faremo l’ennesima presentazione PowerPoint che nessuno leggerà, per un progetto che morirà silenziosamente nel prossimo trimestre.

Ed è qui che, se non sei il solito leccaculo del team (sai di chi parlo: quello dell’altro articolo, l’autoproclamato manager che annuisce a ogni stronzata come se fosse il Vangelo), potresti avere la tentazione di dire qualcosa di vero. Tipo: “Ma scusa, il team Z fa già esattamente questa cosa, internamente. Noi cosa ci stiamo a fare esattamente?”.

Atto Terzo: La Supercazzola Rotante (o l’Arte di Non Rispondere)

Ah, eccoci alla parte clou. Hai osato mettere il dito nella piaga, hai fatto notare l’elefante nella stanza. Ora preparati alla supercazzola.

Il manager entra in modalità Matrix, schivando le tue obiezioni con l’agilità di Neo che evita i proiettili. “Beh, vedi, in realtà la nostra value proposition è diversa perché noi abbiamo una visione cross-funzionale che permette di… bla bla bla sinergie bla bla bla approccio olistico bla bla bla competenze distintive“.

Sono parole. Tante parole. Parole che si inseguono in cerchio senza mai arrivare da nessuna parte, come un cane che si morde la coda. Lui sa che sono cazzate. Tu sai che sono cazzate. Lui sa che tu sai. Tu sai che lui sa che tu sai.

Ma il gioco deve continuare.

Tu provi a insistere: “Ma gli altri team hanno risultati concreti, noi passiamo il tempo a fare riunioni su riunioni senza produrre nulla di tangibile. Le persone non sono motivate, non stiamo usando le nostre competenze…”.

E giù un’altra supercazzola: “È una questione di prospettiva, di timing, di allineamento con gli stakeholder… stiamo costruendo le fondamenta per…”. Fondamenta per cosa? Per l’ennesimo castello di carte che crollerà al primo soffio di vento.

Lo Sfinimento: Quando Decidi di Arrenderti

Dopo circa venti minuti di questo ping-pong dialettico, ti rendi conto che stai combattendo una battaglia persa. Non perché il tuo manager sia particolarmente bravo a difendere l’indifendibile, ma semplicemente perché lui ha un obiettivo: spuntare la casella “one-to-one completato” sul suo Excel di controllo.

Le tue preoccupazioni? I tuoi suggerimenti? Le tue legittime frustrazioni? Finiranno esattamente dove finiscono tutti i feedback raccolti in queste riunioni: nel dimenticatoio cosmico delle buone intenzioni aziendali mai realizzate.

Così, esausto e consapevole dell’inutilità di continuare, fai l’unica cosa sensata: annuisci. Sorridi. Fingi di essere convinto. “Sì, hai ragione, non avevo visto la cosa da questa prospettiva. Okay, perfetto, sono allineato”.

Il manager tira un sospiro di sollievo impercettibile. Missione compiuta. Ora può dedicarsi all’uno-a-uno successivo, dove ripeterà lo stesso copione con la prossima vittima… ehm, volevo dire, “risorsa”.

Epilogo: Ci Rivediamo Tra Tre Mesi

La riunione finisce con la promessa (minaccia?) di rivedersi tra tre mesi. “Nel frattempo, se hai bisogno di parlare, la mia porta è sempre aperta!”, dice il manager con un sorriso. Entrambi sapete che quella porta rimarrà metaforicamente chiusa, perché tanto a cosa servirebbe aprirla?

Ti alzi dalla sedia (virtuale o fisica che sia), ringrazi per il tempo dedicato (come se fosse stata una scelta) e torni alla tua scrivania. Tra tre mesi, il copione sarà lo stesso. I problemi saranno gli stessi. Le supercazzole saranno le stesse, magari con qualche buzzword aggiornata (“blockchain”, “AI”, “metaverso” o qualsiasi altra fuffa vada di moda in quel momento).

Nel frattempo, continuerai a fare il tuo lavoro – quello vero, non quello descritto nelle slide motivazionali – cercando di trovare dignità professionale in un sistema che sembra progettato per frustrarti.

Benvenuti nel meraviglioso mondo del quarterly review: l’unica certezza è che nulla cambierà, ma almeno avremo fatto finta di provarci.

Alla prossima supercazzola, compagni di sventura. E ricordate: la resilienza non è solo una competenza del CV, è una questione di sopravvivenza aziendale.

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